24 nov 2011

Intervista Vox Roma





“Il Bosco” al Teatro Argot Studio
«Una semplice storia d’amore di sempre». L'intervista di Vox ad Elena Arvigo
di Giulia Agostinelli

Dopo averla vista sulle scene con il monologo “4.48 Psycosis” e sul grande schermo al fianco di Julia Roberts, nei panni dell’amica italiana che faceva scoprire tutti i piaceri della nostra tavola a Elizabeth Gilbert in “Mangia prega ama”, Elena Arvigo torna a teatro con “Il Bosco”.
«Una semplice storia d’amore di sempre», scritta da David Mamet e diretta dall’Arvigo e da Valentina Calvani, dal 26 ottobre al 6 novembre al Teatro Argot Studio.
In cosa è “semplice” l’amore di cui si parla in questo spettacolo?
Nel senso che è la cosa che fa più paura in assoluto e qui viene analizzato in maniera realistica. Mamet porta furoi dalla città quest’uomo e questa donna, mandandoli nella casa di lui in campagna vicino al bosco, perché “in città non ci si conosce veramente” . Nel bosco il quotidiano da spazio alla favola d’amore in cui tutti noi cadiamo,così come accade al principe e alla principessa. E’ un dialogo realistico che parla della paura d’amare che è più messa di più a nudo in un luogo in cui non c’è nulla, tant’è che all’inizio dello spettacolo siamo in scena nudi.
Va in scena un dialogo a due sull’amore.
Mamet è un maestro del dialogo ed è tutto giocato su un modo diverso di vedere le cose e l’universo maschile e quello femminile sono dei punti di vista dfferenti con tutte le difficoltà e le paure. E’ un testo che parla di un uomo moderno, ossia della sua paura di crescere, tipica della generazione di questi ultimi venti anni. E’ stato scritto negli anni settanta, però è moderno nel parlare di questa mancanza di responsabilità di essere solo figli e non uomni e donne. C’è un finale aperto che fa vedere la luce alla fine del tunnel, ma non è detto che si riesca a raggiunge questo per dire che l’amore rende le cose possibili, però sta agli idividui fare la sceta di stare insieme. Non è implicito amarsi e stare insieme. Ti giro la domanda che è lasciata aperta nelle note di regia di.
Arriveremo ad essere liberi e finalmente capaci di amare?
Dipende da noi: la luce alla fine del tunnel c’è, alzati e vai. C’è un punto in cui devi aver voglia di amare un uomo, però c’è anche un punto in cui una persona deve lasciarsi amare e in questo c’è una reposnsabilità individuale. La favola c’è, è sempre dietro l’angolo, la devi costruire tu.
Mamet dice che il teatro non deve e non può dare risposte, allora qual è il suo compito?
Mamet ne “I tre usi del coltello” dice: “recita bene o male ma sii onesto”. Essere onesto vuol dire mettersi in gioco, credo che valga per l’attore ma anche per qualsiasi altro mestiere. Per Mamet il teatro ha un compito sociale di tenere alta la vita, di amplificarla. Acnhe Sara Kein (n.d.r. l’autrice di “4.48 Psycosis”)diceva di non essere trasgressiva, ma di mettere in scena delle cose per non farle accadere nel reale. A questo punto metto una responsabilità che è anche sociale e il compito è quello di essere uno specchio della realtà in maniera onesta
Ne “Il Bosco” affianchi Valentina Calvani ne la regia, che sia una prova per fare uno spettacolo tutto diretto da te in futuro? Perché no. Credo sempre di più nel lavoro di gruppo, poi è molto difficle trovare l’equilibrio, sopratutto oggi che i registi sono pochi. Ho iniziato con Strehler e oggi non c’è più tanto la possibilità di fare regia. Strehler faceva proggetti lunghi, con produzioni immense. Io non sarò mai una regista, sono un’attrice con delle idee e in questo senso posso provare a mettere in scena delle cose. Fare il regista richiesta una conoscenza straordinaria, ma la regia nel senso sacro è rarissima e noi a volte siamo dei figli con qualche idea. Con un po’ di buona volontà e di umiltà ci si possa mettere insieme e cercare di raccontare.
Ti rivedremo in tv o al cinema?
Ho fatto “Il resturatore” per la tv, ma ho fatto delle scelte negli ultimi anni. Ho inziato con la Piovra e poi delle cose storiche, ma è diventato difficile fare tv senza connessioni, poilitche o altro, per cui la tv si auto elimina. Ho fatto cose più all’estero, qui è diventato più complicato; ci sono delle possibilità, però c’è poco lavoro. C’è poi un discorso sull’essere famosi. Il teatro fa meno notizia e chi l’ha dura la vince, nel senso che bisogna resistre a fare un mestiere, se non ne avessi la necessità, in questo Paese non c’è nessuno stimolo a farlo. Sono impegnata a fare delle cose belle e cercale di farle bene, e questo è un po’ fastidioso perché c’è un sistema fedautario. Ci sono direttori di teatro che sono anni che ci sono, a Barcellora lo scorso anno c’era un direttore che aveva 28 anni. Qui non succede e questo crea delle conseguenze. Questi sono momenti in cui dove bisogna rilanciare, se ne hai le possibilità di soldi e di energia.
Che mi racconti del set internazionale di “Mangia prega ama”?
Sono stata sette giornate insieme alla Roberts, lei è un pesonaggio meraviglioso la quintessenza del sogno americano. Per quanto uno fa l’attore impegnato, però c’è una parte di noi a cui piace andare a vedere Top gun o Pretty Woman. E’ come lavorare con Minnie, non è reale! E’ come improvvisamente vedere un mito.
Cosa hanno da insegnarci gli attori americani? Il rispetto per la categoria degli artisti e per il talento che è quello di un medico, di uno scienzato e di un attore. Qui non c’è questo, le fuge dei cervelli qui avvengono perché vengono tagliate le gambe ai talentuosi.
E noi cosa possiamo insegnargli?
La nostra creatività e la nostra improvvisazione. Loro vanno nel panico quando accade qualcosa d’improvviso, quindi siamo pià bravi in questo e nel far tesoro dei problemi e renderli poi virtù.